Benvenuti alla Malga dell' Uomo Selvatico !


Benvenuti alla Mia Malga ! MalgaBart vuole essere una... baita virtuale, dove raccolgo pensieri, esperienze e soprattutto immagini da me prodotte sulla vita che amo, la vita all'aria aperta, in montagna, in natura.
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Andrea Bart "Sàlvànfòresto".

lunedì 23 gennaio 2012

Due passi sulla via Vandelli e per capanne... celtiche.


La Via Vandelli, fondata anche come "Strada Ducale della Montagna" o "Strada Ducale per Massa" fu costruita alla fine della prima metà del secolo XVII  per commissione del Duca di Modena Francesco III D' Este in quale ambiva a uno sbocco al mare per il proprio Ducato. L'occasione si presento quando si combinò il matrimonio tra il figlio successore Ercole Rinaldo, allora undicenne, e l'ultima erede della famiglia Malaspina, Duchi di Massa e Carrara, Maria Teresa Cybo.
Fu incaricato dello studio e della realizzazione l'Abate Domenico Vandelli, matematico, cartografo e geografo, al servizio della corte d' Este.



La via si proponeva ambiziosamente di superare i crinali appenninici e apuani e, partendo da Modena poi per Sassuolo e Serramazzoni, scendere in Lunigiana, oltrepassare le impervie Alpi Apuane, e di lì al mare, senza toccare i territori pontifici, di Lucca e del Granducato di Toscana, realizzando un accesso realmente "interno" e indipendente. All'epoca costituì la via di valico più moderna, ancora non esistendo l'odierna via Giardini, sostituendo l'antica Via Bibulca ormai in parte abbandonata e inadeguata.
Particolarità di tale opera stradale era la sua collocazione in quota, lontano dal fondovalle e quindi su un terreno più stabile, realizzando una strada per lunghi tratti rettilinei e con pendenze di arroccamento molto graduali al fine di renderne agevole la perpendicolarità. Nel realizzare tale concetto il Vandelli si servì della propria invenzione in campo cartografico : le isoipse o curve di livello, metodo di rappresentazione grafica fondamentale tutt'oggi nell'ambito della cartografia. L'opera fu conclusa in un tempo molto ristretto per le possibilità tecnologiche dell'epoca, in un breve arco di anni che va dal 1738 al 1751.
Il tratto da me percorso in questa occasione rappresenta forse il cuore del tratto appenninico in territorio modenese e peraltro quello meglio conservato,  collocato tra la zona di Sant' Andrea Pelago e Roccapelago.
 Emergenze importanti di questa tratta sono, oltre al bellissimo panorama sul Monte Cimone e sul crinale appennico, la "capanna celtica" di Cà Guerri e le vestigia, recentemente restaurate, dell'antica osteria de La Fabbrica.




La "Capanna Celtica" di Cà Guerri. Casone rurale ispirato alla foggia celtica, caratterizzato dal fronte triangolare a gradoni realizzati in scaglie di arenaria rappresenta una reminiscenza del tipo architettonico caratteristico delle antiche popolazioni celtiche che si insediarono in questa zona dell'Appennino Tosco-Emiliano già dal III secolo A.C. Si è detto molto sulla presenza celta in queste zone. Sebbene il Frignano fosse territorio elettivo dei Liguri Friniates, popolazione autoctona, si ritiene da parte di molti studiosi che tale residenza non fosse esclusiva, pertanto che  la civiltà celta e friniate siano venute in contatto in queste valli. Del resto il tipo costruttivo ligure parrebbe diverso, non a base rettangolare bensì ovale, senza questo caratteristico fronte triangolare  a gradoni.
Come dovrebbe essere ovvio questa costruzione non è una casa celtica originale,vecchia si ma di edificazione più recente essa rappresenta un lascito, una reminiscenza culturale, peraltro senza una caratteristica importante quale il tetto in paglia cui ha preso posto una più .. moderna e meno affascinante lamiera ondulata (come notare in altri siti come Bellagamba sul versante opposto alle pendici del Cimone, ad esempio).
Poi la storia dei celti e dei liguri finì, ufficialmente, ad opera dei romani che dopo decenni di scontri armati presero il controllo di questi territori. A ricordo dell'epoca immemore : le Capanne.



L'antico selciato della Vandelli.







I resti delle murature a secco poste a limitare.



La Via..


Eccoci a La Fabbrica. Su preesistenti casoni "celtici" venne ampliata e costruita all'insegna dell'allora settecentesca "modernità". Situata nel punto mediano del corso appenninico della Via, poco prima del valico del crinale, fu elogiata nella funzionalità dal Duca Francesco III.



Alla memoria dell'artefice Abate Domenico Vandelli.


Vista del frontestrada della Fabbrica.





Le pietre della Via.


Salire a ponente..



La piramide del Monte Cimone arrossa alla sera. La sua forma a base triangolare pone qui il suo lato migliore.


Al rientro, con una luce diversa.. posata, come le foglie.


Rieccoci al nostro "casone"...


Tramonto solitario sul crinale. Termina quieta la mia domenica.



Andrea G. 23/01/2012

sabato 10 dicembre 2011

Cosa si vede...


Si chiacchera spesso spesso da tra appassionati "fotomani" se sia il caso , se sia giusto, se sia etico, se sia onorevole...ritoccare le foto, usare "fotosciòp" e tante altre questioni del genere.

Innanzitutto occorre anche vedere che cosa si intende per "fare una foto con phoshop", per alcuni è un ritocco spinto, che risulta invasivo e stravolgente sul dettaglio della fotografia così anche spesso a stravolgere quella che era l'idea compositiva nata e fissa in fase di scatto.
Per altri è qualsivoglia intervento a computer che alteri l'immagine catturata dalla fotocamera, includendo in questa situazione anche quello che si definisce come sviluppo del negativo digitale (file grezzo o .raw)", e questa opinione, seppure rispettabile, non mi trova d'accordo.

L'immagine di cui sopra è stata ottenuta dallo sviluppo del file grezzo (raw) attraverso un noto software di conversione, la difficoltà di realizzare in ripresa  l'immagine con questo tipo di contrasto è stata data dal fatto che sulla scena c'era una differenza di luminosità di almeno due stop tra la zona più chiare del cielo e quella del prato sottostante.



Qui sopra lo stesso file in conversione neutra, è stata fatta un'esposizione conservativa, al limite delle luci, per non bruciare completamente il cielo, cercando altresì di mantenere le ombre il più possibile aperte.

IL file porta a un'immagine equilibrata, senza grandi contrasti ma oggettivamente scialba, anche più di quanto non apparisse ai miei oggi durante questa fosca mattinata.

Un ulteriore tentativo era quello di intervenire, applicando, on camera, una curva di contrasto tesa a migliorare il contrasto dell'immagine e allargando quindi la dinamica.


L'immagine migliora un po' sotto l'aspetto del contrasto, tuttavia le ombre risultano in tal modo molto scure.
A questo punto proviamo un altro trucco, una dispositivo software on camera previsto sulle DSRL Nikon, ovvero il D_Lighting attivo, abbinato alla curva personalizzata (Controllo Immagine) più aggressiva di cui dispongo on camera :


Il risultato è per me quasi buono, se non fosse che il cielo non è ancora reso come vorrei.

A questo punto si fa.. come si faceva scattando a pellicola negativa: esponevo per le luci :


il risultato... è cupo anche usando un controllo immagine neutro:



non parliamone poi se si utilizza un controllo immagine più contrastato...



Applicando il d-ligting attivo a un file decisamente sottoesposto si ottiene qualcosa che puo' essere accettabile   per quello che attiene l'equilibrio tra cielo e terreno, ma totalmente insoddisfacente sul piano della saturazione.

Allo stato della tecnologia attuale, e almeno con un sensore a formato ridotto (aps-c) come quello da me utilizzato vi sono ancora dei limiti importanti in tema di gamma dinamica, ovvero, ripeto, la capacità di rendere al meglio e contemporaneamente il dettaglio nelle zone d'ombra e la resa della texture nelle zone di luce (le nuvole)  che altrimenti risulterebbero piatte.

Infine... vale una vecchia regola : aspettare.. che sbuchi uno spiraglio di sole .. ed eventualmente utilizzare un filtro nd digradante, come si faceva quando non c'era photoshop.






10/12/2011


domenica 20 febbraio 2011

Diversamente


Diversamente a volte si cerca la stessa cosa che.. al principio è sempre la stessa. Fotografo spesso montagne meravigliose, cerco in esse quella dimensione diversa, quell'oltre metafisico che che intuisco e sembra essere così lontano dal mondo dove vivo.



Passo in autostrada.. spesso, per quell' a22 che porta in quello che chiamo Sacro Suolo Trentino è sta diventando la mia casa che scorre.
Passo e la chiamo "la piana".. con epiteti quale immonda, puzzolente, e quant'altro.. eppure c'è stato un tempo in cui ne ero affascinato.


Alla fine c'è l'inizio. Prima delle montagne c'era la campagna infinita del Polesine, dove passano le vacanze estive presso casa dei nonni...


I tramonti erano già meravigliosi.
Si stendevano ampi su campagne che sembravano infinite, all'epoca il mio mondo era quello, e mi pareva il più bello e anche l'unico.



(le golene..)


stranamente, per caso, mi trovo su miei passi di molti anni fa...


Non ricordavo come arrivarci, eppure questa spiaggetta era quella dove si veniva a pescare con mio padre, ricordo l'ultima volta, avrò avuto tredici anni, era santo Stefano, i pesci non abboccavano (quelli dall "còcca làrga", come un bolognese rumoroso chiamava i grossi cavedani che in inverno non riposano), forse più intelligenti di noi a non uscire con quel clima, e c'era un freddo assurdo.. avevo smesso di pescare e mi scaldavo al fuoco acceso sotto un enorme ceppo rovesciato la cui forcella di grossi rami faceva le funzioni della volta della cappa del camino..
la brace era rossa, come questo cielo, quella scaldava le mani.. questo scalda dentro.



Il fiume scorre sempre uguale e diverso, è c'è ancora la stessa pace su queste rive.

Insolitamente, questi giro.. niente montagne.
Ci sta.

Andrea G.


20/02/2011

martedì 8 febbraio 2011

_Breathable_

Apollo chiama Houston:

"Abbiamo individuato aria assolutamente respirabile sulla terra"


... Mi sveglio e mi ritrovo "nel sole", immerso perso nella luce con la buona sorpresa di essere a tre ore d'auto da casa, l'astronave è pertanto non necessaria, sebbene a volte.. davvero non sembra di stare su questo pianeta, qui.




Due luminosi passi... si voleva prendere aria, vedere le Dolomiti, senza dover fare qualcosa di estremo.




Il Cimon della Pala visto da nord, con la sua facciata massiccia, appare da questa angolazione, così come quella omologa dal lato sud una montagna dall'aspetto ampio imponente.. tuttavia, non il suo unico aspetto, come sanno bene i conoscitori di queste montagne o anche solo quelli che le hanno potute apprezzare da semplici turisti.



Scendiamo quindi dal Passo Valles per la valle del Travignolo e risaliamo verso Passo Rolle, e la seconda personalità del Cimon inizia a intravvedersi .



Nei pressi di Capanna Cervino.. a sud si nota a capolino l'emergere della cupola del Pavione, Vette Feltrine, mentre innanzi, con un imponenza assolutamente opposta, il Cimon della Pala con il suo aspetto laterale, aguzzo. Da qui si eleva come una torre quanto mai slanciata.. eppure.. è sempre la stessa montagna.



La magia.. della montagna dolomitica.. all'enrosadira.


Il tutto.. a tre ore d'auto.

Houston: Tutto ok, non torniamo più a casa :)


Andrea G. 08/03/2011

domenica 30 gennaio 2011

Au Rebour


ritorno su questa serie, a un anno fa, a una splendida giornata di sole,  che mi salvò da un momento di umore quanto mai cupo.

Credo sia una forma di mania quella di non staccarmi dalla mia fotocamera...e  di scattare, indegnamente, anche attraverso gli spessi doppi vetri filtranti del pullman con il quale mi sto muovendo.
Questa è una storia ritroso di quelle cui spesso mi capita di indulgere.




"le foto non si scattano così, dalla corriera!" pronuncia vana una voce proveniente dai sedili posteriori del pullman ove mi trovo imbarcato.

Ma chi lo dice ?

Io penso che se c'è qualcuno che dice che una cosa non è da fare, o ci sono motivi per non farla, questi siano già di per se motivazione al compierla. Non sempre, certo, ma in fotografia per me è così.

"Non si fa ?"
"perchè ?"

Se la risposta non mi convince, in un frammento di secondo l'impeto dell'istinto prende una decisione e in un lampo scatto.
Ci sono troppi fotografi preoccupati delle regole, certo ammetto come le basi servano, io stesso mi sono impegnato per costruirmele e tutt'ora mi ci impegno, e ammetto che  se certi concetti si sono trovati ad essere definiti "regola" è in quanto con l'esperienza accumulatasi negli anni da molte persone che non oso dire sprovvedute, si è arrivati a trovare una corrispondenza che potrebbe definirsi un barlume di oggettività. Tuttavia in arte credo che si voglia andare avanti occorra essere per forza pionieri, un minimo anticonformisti, non ci si puo' costantemente preoccupare di determinate regole.
Personalmente diffido da chi a queste si richiama sempre con strana ansia, personalmente diffido di parole come "umiltà" spesso più utili a chi le impartisce invece di chi le riceve sotto le forme critiche più svariate.
Deve essere anche questo che mi spinge a vedere la fotografia come una forma di pittura esercitata con un mezzo tecnico diverso dal pennello, e prediligere, nella formazione del mio retroterra visivo, il vasto patrimonio delle arti pittoriche, e in senso generale visive, invece che ridurmi alla "fotografia" che spesso contiene in certa pratica massificata il rischio di essere... un esercizio di tecnica e di strumentazione tecnologica (specie ora in epoca di "barbarismo digitale"). Troppe volte assisto sui forum web, e non solo, a una pratica della fotografia che rasenta spesso il puro tecnicismo o l'esecuzione del compitino.





"È un'illusione che le foto si facciano con la macchina.... si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa."
Henri Cartier-Bresson








Con la testa..... sembra una sciocchezza a volte, eppure, penso spesso a come tante immagini siano nate senza fotocamera, come ho passato interi anni senza eseguire uno scatto e tuttavia nell'accumulare visioni. Fondamentalmente è l'amore per la natura, per la visione della vita e del mondo che essa mi regala che mi spinge a fotografare, pertanto il grosso dei miei scatti vengono realizzati durante escursioni in montagna, o più accessibilmente, sulle colline nei dintorni della cittadina ove vivo.
Anni fa mi stancai di fotografare, mi ero comprato una compattina per avere qualcosa di più comodo e leggero da utilizzare lungo i sentieri montani, sulle prime la cose parve funzionare, scattavo molte foto, più foto, con meno sforzo che non con la reflex allora ancora semiautomatica che prendevo in prestito da mio padre. Dico sulle prime, in quanto nel giro di un anno smisi di fotografare, mi accorsi non era il "mero risultato", peraltro allora ancora molto casuale, che mi interessava, era l'atto della visione e della sua ri-creazione che mi interessava, mi interessava portare fuori quello che avevo in testa. Ma intanto scattavo scattavo.. e questo non avveniva quasi mai, anche se molti scatti erano, assieme a tanti orribili, anche buoni.
Passarono cinque anni in cui girai senza fotocamera appresso, nel frattempo vedevo vedevo, e vedevo. Si creavano immagini nella mia mente, mi chiedevo spesso quale foto ne sarebbe venuta, innanzi una veduta suggestiva o a un particolare interessante. Ero come una spugna, continuavo ad assorbire e accumulare...
Oggi posso dire che molte immagini scattate e apparentemente nate dalla sola intuizione, che ha sempre un ruolo fondamentale nel rilevare la visione nel "suo attimo" sono anche in realtà nate come embrioni e lentamente maturate nella mia testa proprio quando non fotografavo.
Tant'è che oggi spesso esco senza fotocamera e cercare idee....certo.. se la luce al tramonto è irripetibile il rischio è di mangiarsi le mani, tuttavia il patrimonio visivo che si acquisisce ne guadagna moltissimo. Penso che ne valga la pena, diventare buoni osservatori, invece e prima ancora che pessimi fotografi. Del resto non credo che ci sia una possibilità diversa, se non si avvera il primo presupposto.

Altra fase in cui si riscontra l'evidenza di come la "testa" abbia gran gioco nella produzione fotografica è la fase di "post produzione", grazie anche a un espediente a cui oggi ricorro spesso consistente nel riprendere la lavorazione di scatti andati quasi nel dimenticatoio, a distanza di mesi, anche di un anno, nel caso seguente.


Liberarsi del ricordo fresco, della sensazione del momento, che seppur bella, e spesso inimitabile, costituisce un primo schema con cui il fotografo si deve confrontare. Spesso l'idea del momento impedisce di vedere oltre e, se ciò non impedisce di produrre belle immagini alla prima selezione, impedisce spesso di produrre immagini anche più interessanti che magari al momento per "istinto ignorante" si sono colte ma non si sono sapute cogliere nel loro pieno valore nelle ore immediatamente successive lo shooting.

La visione puo' essere come le ali, ma anche come le sbarre o le mura di una stanza.



Qui un anno fa tenni le originali cromie azzurre, bluastre, di questa immagine in quanto mi ricreava la sensazione di quella fredda e bellissima giornata invernale.  Non mi venne in mente di virarla in bianco e nero.
Lo faccio oggi, e trovo che l'immagine acquisisca così una drammaticità diversa e racconti meglio il contrasto tra la natura ghiacciata e ostile con gli escursionisti intenti nel superare l'avverso passaggio.


Questo scatto lo scartai.. troppo ghost, troppo flare, la giudicai inadeguata basandomi solo sull'aspetto tecnico. Al tempo volevo mantenere le ombre aperte, oggi la realizzo così, più contrastata, dando anzi valore a quella esplosione iridescente del sole resa possibile da un ottica non tanto "buona" in quelle situazioni di luce.
Ma voglio dire.. alla fine..chissenefrega ? o no ?





Rinunciare a quel bell'azzurro di quel giorno, un anno fa mi pareva impensabile.
Oggi mi trovo a chiudere gli occhi e a ripensare a quella giornata di freddo sole abbagliante. Gli occhi si socchiudono, il mondo ora pare apparire troppo fortemente, fino ad accecare.



Rinunciare ai torni delicati di colore blu che caratterizzavano questa "sfumatura" un anno fa, mi pareva impensabile. Oggi che non ricordo così bene, bene si, ma non così bene come un anno fa, penso alla drammaticità di quella linea d'ombra, alla rievocazione dell'inquietudine che il passaggio verso l'ignoto comporta. Condensando, in un' immagine, il tema della Linea d'Ombra di Joseph Conrad.



Ricordo ora il freddo adamantino..... in realtà il sole di quella giornata riscaldava il cuore, ma il freddo, che c'era, non riusci, o non volli renderlo.
E' strano pure l'odiato freddo sia a suo modo bello.



Scelsi un altra immagine, che amo tutt'ora, questa, più stretta fatta con il tele, mi sembrava meno completa.
In realtà ora la trovo più impattante, più dentro, oggi riesco più immaginare di essere lì guardando questo scatto, e realizzandolo un po' stinto da ricordo e pur tuttavia vivido di contrasto, invece che l'altro, più ampio, realizzato con corta focale, più costruito, e più distante, come un cartolina.



Non riuscivo a capire come lo scatto con la sua luce originale potesse rendermi la sensazione di quel momento, e non me la rese in effetti. Chiudo gli occhi, sento il freddo rimontare, l'aria pungente, il riverbero della neve anche nell'ombra della montagna, e quella gemma luminosa in fondo alla valle.

Chiudo gli occhi..... e vedo.







Andrea G.

28/01/2011